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Interviste ai docenti di T.u. – Gianpiero Valoti

Care socie e soci,

a causa dell’emergenza sanitaria anche i rapporti con i nostri docenti si sono fatti più rarefatti e distanziati, ma non meno speciali. Per questo motivo abbiamo deciso di proporvi qualche intervista con i nostri docenti in occasione della pubblicazione dei loro libri.

Iniziamo con Gianpiero Valoti

“Piante e animali del mondo contadino bergamasco” di Gianpiero Valoti
Editore: Lubrina -LEB
Anno: 2020
pp.300

Il nuovo libro del docente di T.u. Gianpiero Valoti è un’incursione ricca di notizie di prima mano nel mondo della tradizione legato alla terra e ai suoi ritmi con frequenti richiami all’eco che questo mondo ha avuto nel campo della cultura popolare e della letteratura. Gli animali della cascina e delle sue pertinenze (la stalla, il porcile, il pollaio, l’aia) e i prodotti indispensabili del campo coltivato, dell’orto, del prato e del bosco sono i protagonisti di altrettanti capitoli che tracciano il profilo della vita quotidiana in un’epoca trascorsa ma non perduta, la cui eco è giunta sino a noi.

Professor Valoti, lei ha insegnato nella scuola primaria e secondaria. Qual è la grande lezione che sente di aver imparato?

Ho insegnato per quarant’anni e ciò che più mi è rimasto è il rapporto reciproco tra chi insegna e chi impara. Per me è sempre stato importante trasmettere la conoscenza con pathos ma per farlo sono necessari fiducia e rispetto reciproco così come autorevolezza e comprensione. Ogni volta che sento qualcuno parlare in francese alla televisione mi chiedo: “Chissà se i miei studenti saprebbero capire ciò che sta dicendo”, spero di aver lasciato qualche traccia, ecco.

Gran parte della sua bibliografia si concentra su quella che viene definita la “civiltà bergamasca”. Perché considera importante mantenere viva la memoria delle abitudini del passato, specialmente quelle relative alla vita agricola?

Quello che mi ha guidato non è una nostalgia per il “bel tempo andato” anche perché la vita contadina era dura, faticosa. Non voglio riesumare nessun idillio bucolico, insomma. Quello che mi interessa è la memoria storica; la conoscenza è importante per capire e andare avanti. Ho cercato di mostrare non l’idea dell’agricoltura e del mondo contadino in generale, ma degli uomini e delle donne che queste vite le hanno vissute davvero. Io sono del ’49 e in questo libro ho voluto mettere tutto quello che nel tempo ho imparato sul mondo contadino bergamasco, la considero un po’ la mia eredità per quelli che verranno affinché queste cose non vengano perse.

Che legame hanno queste tematiche con la sua storia personale?

Io l’ho conosciuta la vita agricola, mio papà era mezzadro, l’ultimo retaggio di un’economia feudale. Sono quindi nato nel mondo contadino e da subito ho capito il legame profondo tra la terra e la vita. La vita contadina autentica è fonte di conoscenza e permette di instaurare un rapporto armonico con la natura. Il mio interesse per queste tematiche è sfociato innanzitutto in una ricerca su Nembro: ho intervistato più di 150 persone sulle condizioni di vita dell’Ottocento ed è stata una vera rivelazione di un mondo sconosciuto che però era importante ricordare. Poi io ora vivo in campagna, allevo e coltivo e sono riuscito a realizzare un sogno, quello di avere un pezzo di terra mio. Qualcosa che mio padre ha desiderato per tutta la vita.

Asini e capre: due animali legati a proverbi popolari. Qual è il legame di questi animali con la cultura bergamasca?

In generale tutti gli animali legati alla dimensione contadina sono forieri di proverbi o espressioni idiomatiche particolari, anche in bergamasco. “Contà come l’ömbra d’ün azen”, “Dà intend piö bö che ache”, “Al comincia a répulas sö”, “l’asen quand l’à mangiat, el volta’l cul a la treis”. Molto spesso a questi animali si davano caratteristiche antropomorfe ed erano presenze importanti e vive anche nella lingua stessa. L’aspetto fisico e geologico della nostra provincia – un terzo pianura, un terzo collina, un terzo montagna, – permetteva grande varietà sia di animali sia di coltivazioni e di strumenti agricoli.

Ci descriva qualche aneddoto in cui sono protagonisti animali che secondo lei ben rappresentano lo spirito bergamasco.

L’Italia era divisa in due, il Sud con le terre dell’olio e il Nord con le terre del lardo: Bergamo era sicuramente una terra del lardo perché era un alimento che insieme alla polenta faceva parte della dieta quotidiana delle persone, così come il maiale aveva una grande importanza nella vita delle persone. Negli anni ’50 poi facevano diversi concorsi per le vacche e ogni famiglia contadina ne possedeva una, massimo due e quindi tutte le vacche avevano un nome proprio come la Bionda, la Garibalda e nelle stalle le si chiamava per nome. C’era un rapporto familiare e domestico con gli animali, si era orgogliosi di poterli far gareggiare in questi concorsi. Il linguista e storico Antonio Tiraboschi poi raccontava che un giorno all’anno, l’Epifania, gli animali della stalla parlavano tra di loro mentre i ragazzi aspettavano il passaggio dei Re Magi che con i loro cammelli “si fanno alti, alti, piccini, piccini e rimpinzano le calze di dolci e frutti”.

Nel libro si accenna anche a diversi record su cui l’agricoltura e l’allevamento bergamasco possono contare. Ce ne dice qualcuno di insolito?

La provincia di Bergamo è stata per molto tempo al primo posto nella produzione di seta e di bachi da seta. Fino al Cinquecento per via dei patti di mezzadria era obbligatorio che ogni colono allevasse dei bachi. C’erano numerose filandre e filatoi, poi c’è stato un momento di crisi per via della peste di manzoniana memoria. Nel Settecento invece si assiste a un vero e proprio boom del gelso per i bachi. I contadini lavoravano duramente per un mese e mezzo, però poi la resa era cospicua. Nel Seicento la coltivazione del miglio viene rimpiazzata con quella del granoturco che aveva lo stesso ciclo colturale ma una maggiore produttività e minori spese. C’è poi tutta la storia della patata, che meriterebbe un libro a parte. Venne introdotta faticosamente agli inizi dell’Ottocento da un ex ufficiale svizzero delle armate napoleoniche ritiratosi a Selvino. All’inizio c’era gran diffidenza perché i contadini sono notoriamente “gente chiusa”. Ci si accorse ben presto, però, che nei momenti di carestia la patata è una vera manna perché crescendo sottoterra è protetta dalle intemperie stagionali e ha una resa molto maggiore dei cereali.

Stiamo attraversando tempi di grande incertezza e preoccupazione per la nostra salute e per quella del pianeta che ci ospita. Un augurio che vorrebbe dare ai soci di Terza Università

State al sicuro e abbiate cura di voi! È importante anche recuperare un rapporto con la natura che sia pulito. Per questo ho scritto questo libro: è impossibile tornare al passato e non voglio dare l’impressione di essere un nostalgico, però dal passato si può imparare qualcosa di utile per provare a navigare in questo futuro così incerto. Una cosa che possiamo riscoprire è, per esempio, l’importanza di un rapporto in armonia con la natura, in cui ci si inserisce rispettandola.

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