Interviste ai docenti di T.u. – Piergiorgio Pescali
Care socie e soci,
a causa dell’emergenza sanitaria anche i rapporti con i nostri docenti si sono fatti più rarefatti e distanziati, ma non meno speciali.
Per questo motivo abbiamo deciso di proporvi qualche intervista con i nostri docenti in occasione della pubblicazione dei loro libri o per conoscere qualche dettaglio in più del loro percorso personale.
Continuiamo, dunque, con Piergiorgio Pescali
Piergiorgio Pescali, ricercatore scientifico e fotoreporter, compie i suoi primi reportage nella Cambogia dilaniata dalla guerra civile e nella Birmania governata dai militari. Ha intervistato Pol Pot, e il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, il Dalai Lama. Dal 1996 è uno dei pochi giornalisti a visitare la Corea del Nord. Collabora con diverse testate giornalistiche e radiofoniche in Italia tra cui Avvenire, Il Manifesto, Famiglia Cristiana, Rollingstone, Radio Vaticana, Radio Popolare, Radio24. All’estero collabora con la BBC e la CNN. Nel 2020 ha pubblicato il suo quinto libro, “Versi d’amore e di scienza” edito da Bertoni Editore e a marzo 2021 uscirà un altro libro dedicato al disastro di Fukushima in occasione del decimo anniversario dell’incidente nella centrale nucleare giapponese.
Partiamo dalla sua biografia: come ha coniugato gli studi di fisica con la professione giornalistica in giro per il mondo?
Le due cose, a ben vedere, si intersecano perfettamente l’una con l’altra. Lavorare per i centri di ricerca, i laboratori e partecipare ai convegni mi permette di viaggiare e stabilire in luoghi prettamente non turistici per diversi mesi. Questo quindi mi consente di coniugare il dovere con il piacere e di toccare con mano la situazione di un determinato paese per poi scriverne e proporre i miei articoli o le mie interviste alle nostre riviste e giornali.
Quando è nato e come si è sviluppato l’interesse per i Paesi asiatici e in particolare le nazioni di cultura buddista rette da governi socialisti?
Sono nato e cresciuto in una famiglia molto cattolica e politicamente orientata a destra. Un po’ per reazione, un po’ per amicizie e interesse ho cominciato sin da bambino ad avvicinarmi ad altri mondi, esperienze e culture. Alle elementari ho letto con fervore tutto Salgari e Pearl Buck, alle medie inferiori mi sono avvicinato al buddismo e al mondo asiatico per poi approdare durante le superiori all’esplorazione dell’aspetto più politico di queste regioni del mondo. Era appena finita la guerra del Vietnam, Mao Zedong era morto da pochi anni e a metà negli anni ottanta si cominciava a scoprire cosa era accaduto in Cambogia con Pol Pot. Ho cominciato allora a chiedermi perché un certo tipo di civiltà socialista dagli aspetti così totalitaristici si fosse innestata in paesi dalla tradizione buddista: le due cose, a un primo sguardo, possono sembrare antitetiche. Sicuramente sono molti i fattori e le concause che hanno portato a questa situazione, prima fra tutte il fatalismo che permea il buddismo, specie nel Sudest asiatico. La reincarnazione porta ad accettare le disgrazie della vita associandole al karma. Oggi sei ciò che sei per le azioni che hai compiuto nel passato e nel futuro rinascerai per quello che farai nel presente. Inoltre in Asia c’è una forte empatia verso l’altro, verso il prossimo, si è in generale più orientati a pensare rivolti verso il collettivo a differenza di quando siamo abituati noi, più individualisti.
La Corea del Nord: per l’opinione pubblica italiana equivale a un grande buco nero nel planisfero e la sua rappresentazione da parte dei media occidentali è spesso farsesca se non addirittura parodistica. Lei invece dal 1996 è uno dei pochi giornalisti a visitare regolarmente la Corea del Nord e quindi a riuscire a percepire il cambiamento avvenuto a partire dal 2011 con l’avvento al governo di Kim Jong Un. Ci spiega sinteticamente che cosa è avvento sul piano socio-politico ed economico?
La Corea del Nord è sempre stata politicamente isolata. Verso la fine del secolo scorso abbiamo assistito a un’apertura prima timida poi sempre più decisa proveniente proprio da questo Paese. Anche durante le contestazioni del Sessantotto la Corea non ha mai suscitato l’interesse che invece era rivolto verso la Cina o verso il Vietnam. La maggioranza della popolazione italiana ha iniziato a sentir parlare della Corea del Nord a partire dal ’94 quando è morto improvvisamente il dittatore Kim ll-Sung. In quel momento a Napoli si teneva il G7 che aveva visto riunirsi i grandi capi del mondo e la morte del dittatore coreano aveva sconvolto l’agenda, creando uno squarcio nel velo di oblio che copriva questo paese. In quanto appassionato di estremo oriente e buddismo, seguivo già le vicende nord coreane e nel ’96 ho avuto l’opportunità di partecipare a un viaggio nella Corea del Nord. Al ritorno venne pubblicata una serie di articoli che furono letti dall’ufficio di rappresentanza nord coreano a Roma. Mi dissero che pur non condividendo le affermazioni che avevo scritto, mi invitavano a tornare nel paese per visitarlo individualmente. Da allora quasi ogni anno ho continuato a frequentare la Corea del Nord e dall’inizio degli anni duemila ho iniziato a recarmici per lavoro, facendo visita alla centrale nucleare, ai centri di ricerca scientifici e alle università.
Immagino che tastare con mano la situazione permetta di contestualizzare e farsi un’idea più complessa e sfaccettata di un paese…
Come sempre l’esperienza diretta di un paese permette di farsi un’opinione differente da quella che ci si modella leggendo articoli di giornalisti o analisti che in quel paese non ci hanno mai messo piede perché non hanno mai voluto o potuto visitarlo, contribuendo però a costruire visioni distorte del paese. Kim Jong Un, l’attuale leader, è salito al potere nel 2011 e ha iniziato a rivedere alcuni dogmi che avevano contraddistinto il percorso storico iniziale. L’economia oggi vede una sempre maggiore partecipazione privata. L’80% delle entrate familiari nordcoreane proviene da attività private. Molte famiglie possiedono bar, ristoranti, hotel, piccole imprese artigiane. I contadini possono avere degli appezzamenti di terreno e possono vendere i loro prodotti su mercati privati. C’è anche un forte boom edilizio iniziato nella capitale Pyongyang che però oggi si sta estendendo anche nelle campagne, sempre le ultime a beneficiare di riforme politiche. Ci sono nuove tipologie di appartamenti esteticamente più gradevoli e più funzionali. Politicamente si sta anche affermando una nuova classe di economisti e di tecnici che si sono formati all’estero, nelle università cinesi, russe, vietnamite o anche europee. Si conoscono quindi i principi del libero mercato e nella capitale c’è un’università privata in cui si tengono corsi di economia liberale con professori provenienti da tutto il mondo. Insomma, in Corea del Nord c’è una nuova generazione che sta subentrando e riformando il paese.
Che cosa l’ha colpita di più dei suoi viaggi in Corea del Nord in positivo e in negativo?
In positivo mi ha colpito il continuo cambiamento, di sei mesi in sei mesi veramente la Corea del Nord continua a trasformarsi. Anche la popolazione all’inizio era molto più restia a parlare con gli stranieri, oggi sono loro che si avvicinano per farti domande e parlare. Tutti sanno cosa accade nella Corea del Sud o in Giappone grazie soprattutto alle soap opera sud coreane che spopolano. Anche la stampa di regime nord coreana ha smesso da tempo di dipingere una Corea del Sud povera e retrograda perché sa bene che ormai la popolazione non crede più a queste mistificazioni. L’aspetto negativo è che, come in tutte le civiltà che cominciano ad allentare la morsa autoritaria del governo, comincia a crescere la criminalità. Non certamente a un tasso paragonabile agli altri paesi asiatici, ma comunque è un dato da rilevare. Un altro punto importante è che questa apertura economica rischia di lasciare indietro una grande fetta di popolazione: coloro che non riescono ad avere un ritmo di crescita abbastanza elevato rischiano di trovarsi impreparati e tutto ciò aumenta il divario tra un certo tipo di società e un altro.
I paesi asiatici hanno gestito la seconda ondata della pandemia in modo molto diverso rispetto agli stati occidentali con risultati tendenzialmente migliori (oltre alla Cina, Taiwan…): Quali valutazioni si possono fare in merito alla diversa gestione dell’emergenza?
Noi viviamo in una democrazia che ha un certo tipo di storia e varia anche all’interno di uno stesso sistema. Nel nord Europa il rispetto civico e civile è più sentito, mentre noi, nell’Europa mediterranea, siamo più individualisti, più spreconi e disorganizzati. I recenti decreti varati dal governo in tema di pandemia sono stati visti più come limitazione alla nostra libertà individuale piuttosto che regole necessarie alla salvaguardia della collettività. In più non ci sono state direttive comuni all’interno della Comunità europea e ogni stato ha agito secondo i propri criteri. Le popolazioni dei paesi asiatici, invece, hanno accolto le direttive dei governi centrali con maggiore senso civico. È vero che hanno avuto l’esperienza della SARS nel 2002, però Pechino ha subito imposto il coprifuoco e non ha avuto paura di mobilitare anche l’esercito, suscitando non poche critiche da parte dell’opinione pubblica europea. Inoltre, essendo da sempre popolazioni numerose, erano già abituati all’uso delle mascherine specialmente nelle metropoli, cosa che per noi fino a un anno fa pareva alquanto bizzarra. Infine le civiltà asiatiche sono basate su un caposaldo: il rispetto del bene comune e della collettività. C’è una differenza culturale enorme rispetto alla nostra mentalità: ciò che conta per loro è mantenere l’armonia sociale, mentre da noi la democrazia impone lunghi e talvolta estenuanti dibattiti prima di arrivare a una decisione che, qualunque essa sia, sarà sempre oggetto di contestazioni e rettifiche generando confusione. Il sistema collettivista centralizzato adottato in Asia talvolta funziona meglio del nostro, come nel caso della gestione della pandemia di Covid-19.
L’ultimo libro pubblicato “Versi d’amore e di scienza” coniuga due passioni: la scrittura e la scienza. Come nasce questo libro e che rapporto ha (se ce l’ha) con il momento storico che stiamo vivendo?
In realtà non ha alcuna relazione con il coronavirus però, a ben vedere, trattando di tematiche universali può riguardare chiunque in qualsiasi epoca storica e quindi ben si adatta anche a questo momento di emergenza sanitaria. Il libro nasce proprio dal voler dare un significato al vuoto creato dalla perdita di una persona cara che in questo caso viene colmato, seppur parzialmente, dall’unione di due materie che possono apparire distanti come la poesia con il suo bagaglio di emozioni e la scienza con il suo freddo razionalismo.
I grandi binomi impossibili che Lei prova a coniugare nella sua raccolta di poesie sono: amore e scienza e morte e scienza. È possibile combinare le idee di “amore” e di “morte” (con il vuoto e l’emozione che comportano) con la logica inesorabile della scienza?
Un tempo si tendeva a separare la scienza dalle emozioni. Oggi sappiamo, proprio grazie alla ricerca scientifica, che le due cose sono strettamente legate: ciò che chiamiamo emozioni altro non sono che il risultato di reazioni chimiche all’interno del nostro corpo. Ovvio che detta così perde un po’ di romanticismo, però in “Versi d’amore e di scienza” ho voluto coniugare questi due aspetti: la mancanza di una persona e la ricerca di significato nella morte. Il nostro corpo cambia ogni anno il 99% degli atomi di cui è composto. È come se ogni anno rinascessimo in una persona nuova. Quando moriamo i nostri atomi vanno a comporre altra materia e tra le tante possibilità, c’è anche l’eventualità che vadano a unirsi con gli atomi delle persone a noi care che non ci sono più. In qualche modo quindi potremmo dire che noi, come composto di molecole, continueremo a condividere un percorso di vita con la persona amata, solo in un’altra forma. Questa idea che la morte sia solo la trasformazione in qualcos’altro che continua a vivere è qualcosa di confortante e poetico allo stesso tempo, pur basandosi su presupposti strettamente scientifici.
Nella sua carriera giornalistica, ha intervistato numerosi personaggi di spicco per la politica internazionale. Quale o quali tra i suoi intervistati l’ha colpita di più in bene e in male?
Sicuramente Aung San Suu Kyi (ndr. L’attuale leader del governo birmano). L’ho intervistata per la prima volta nel 1988, al termine del suo comizio inaugurale che diede inizio alla sua carriera politica. Quando cominciai a proporre l’intervista ai giornali, in Italia quasi nessuno conosceva questa donna, ma pochi anni dopo diventò Premio Nobel per la Pace (ndr.1991). Devo dire che non ho mai condiviso l’entusiasmo verso di lei, esaltata quasi come un’icona in Occidente. Era chiaro, dalle sue interviste e dagli incontri che facevo con lei, che non era portata a guidare un paese. Era molto ambiziosa e permalosa, non ha mai accettato confronti e dibattiti con chi la pensa diversamente da lei. Ha negli anni accentrato su di sé le cariche più importanti del paese, ma non ha mai ammesso la palese gestione fallimentare della complessa questione delle minoranze musulmane dei rohingya e di quelle cristiane dei kachin. Da icona dei diritti umani si è rivelata in breve tempo icona di un autoritarismo indifferente ai problemi di integrazione nel suo paese.
Che cosa sente di aver imparato da tutti i viaggi, le culture, le persone incontrate?
Ogni esperienza se ben assimilata è utile a creare una nuova persona, a migliorarne il bagaglio culturale e umano. Occorre assaporare ogni frammento del viaggio, sia positivo sia negativo. Ci vuole tempo per assorbire le emozioni suscitate da certi incontri o certe esperienze, tuttavia lo ritengo un processo necessario per scoprire ogni giorno qualcosa di più su se stessi e poter donare agli altri parte di ciò che si è appreso.
Come è cambiata la sua vita in questo 2020 e che augurio vorrebbe regalare ai soci di Terza Università per il 2021?
Non ho patito troppo il lockdown essendo di natura una persona che sta bene anche da sola. Ho letto e ascoltato musica e, certo, mi sono mancate le escursioni in montagna. Per motivi di lavoro sono riuscito a viaggiare lo stesso nel 2020, ma ho approfittato dei periodi di clausura per terminare cose che procrastinavo da tempo. In questo momento storico si torna a essere protagonisti anche della propria vita interiore: si torna all’essenziale, lasciando da parte tutto il superfluo accumulato negli anni. L’emergenza sanitaria ci permette anche di rivalutare una società come la nostra, fondata su valori che tendiamo a dare come assunti per diritto anche se non è così. Occorre forse imparare a riscoprire e impreziosire di nuovo questi valori sotto l’egida del famoso carpe diem di oraziana memoria. “Vivi questo giorno come se fosse l’ultimo” acquisisce un senso più profondo e radicale proprio in periodi come questo.
Intervista molto interessante. Ha nutrito il mio cervello ed il mio cuore.Grazie Piergiorgio Pescali!
Ho avuto la fortuna di frequentare un corso di Piergiorgio Pescali sulle minoranze etniche e lo seguo su FB . È un grande giornalista e un attento osservatore di tante realtà diverse dalla fisica alla poesia alla politica all’ambiente, direi un uomo rinascimentale che non si accontenta di eccellere in un solo campo ma affronta umanesimo e pensiero scientifico con la stessa coinvolgente passione.